

In un mondo così social, cos’è veramente social? Ce lo raccontano queste tre campagne
Alla base di una campagna social che diventa virale c’è un forte insight, ovvero il punto di partenza che fa la differenza. Ecco 3 campagne che ce l’hanno fatta.
Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di influencer, o meglio, di micro influencer. Chi sono? Per definizione i micro influencer sono personaggi social che hanno tra i 1000 e i 100.000 follower su Instagram.
Ma è solo una questione di dimensioni? Certo, non hanno la fanbase di Chiara Ferragni, né la fama delle celebrity, ma hanno un legame molto stretto con la propria community.
Con la presenza costante sui social media, un buon micro influencer gode di fiducia da parte dei follower che lo seguono perché lo ritengono esperto e veramente appassionato di una o più nicchie. Nel linguaggio dei social, queste caratteristiche si traducono in un Engagement Rate elevato, cioè il rapporto tra il numero dei followers e la media delle interazioni (la somma dei like, commenti, share e click).
L’ultima indagine condotta dall’ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing, ha evidenziato un calo delle interazioni nel 2019 inversamente proporzionale ai follower. Se si considerano gli account con almeno 10k follower, il tasso di coinvolgimento arriva al 3,6%, mentre per i profili tra i 5k e i 10k seguaci si arriva anche al 6,3%. A sorpresa quelli con follower compresi tra 1.000 e 5.000 hanno engagement che tocca anche l’8,8%.
Si fa presto a dire che gli Influencer sono una leva di marketing ormai consolidata, molto meno ad avere un’idea chiara e precisa sulle dinamiche di questo fenomeno, soprattutto in Italia. Proprio per questo l’ONIM propone un report sul mercato italiano: dai risultati emerge che il 67% dei professionisti coinvolti ha dichiarato di aver portato a termine tra 1 e 3 progetti lo scorso anno. Un numero ancora basso, che però si affianca a un alto grado di soddisfazione: il 67,22% si dichiara soddisfatto dei risultati e il 67,5% ha in programma di aumentare il budget dedicato all’Influencer Marketing in futuro.
Nello specifico, coinvolgere dei micro influencer può incrementare il ROI di una campagna e quindi diminuire la spesa dedicata al marketing. Inoltre, l’aumento delle agenzie focalizzate sugli influencer di nicchia pone tutti i presupposti per far si che il numero di aziende interessate a collaborare con questi opinion leader aumenti.
Non è un’impresa facile come può essere individuare i grandi nomi dei top influencer, ma non è una mission impossible. La parola chiave che bisogna sempre tenere a mente in questo è caso è “ricerca”, soprattutto su Instagram, il canale principale in cui si attivano collaborazioni di Digital PR. Un modo più rapido per filtrare i profili Instagram è avere a disposizione tool di analisi di profili Instagram che, grazie a sofisticati algoritmi, analizzano dati reali di insight. Esempi di piattaforme da poter utilizzare – a pagamento – sono Buzzoole Discovery, BuzzSumo e Heepsy.
Una volta individuato un profilo potenzialmente interessante, come capire se un utente è un buon micro influencer?
Conosciamone tre:
Sul suo profilo, Sabrina dà spazio a contenuti che raccontano e condividono la sua vita da giovane mamma. Ha una community di 14,1k follower che seguono ogni giorno i suoi consigli.
Sono Luca e Alessandro, viaggiatori a tempo pieno e compagni di vita. Condividono con i loro 63,3 k follower frame delle loro avventure in giro per il mondo.
Lucia, giornalista toscana, condivide in maniera del tutto originale la passione per la moda. È molto apprezzata dai suoi 25 k follower per essere ironica e unica nel suo genere.
…quindi, micro influencer si o no?
La mia risposta a questa domanda è: dipende. Sicuramente, ingaggiare un micro influencer è efficace perché è appassionato, sincero e coinvolgente, questo lo rende una persona autentica e non “compromessa commercialmente”, come i grandi nomi che accettano ogni collaborazione per guadagno (ma d’altronde è il loro lavoro, no?). D’altro canto, la forte ascesa dei micro influencer non deve portare le aziende solo verso questo tipo di opinion leader, anzi, quel che in primis conta – a parer mio – è considerare gli obiettivi del prodotto e il target al quale è rivolto. In generale se l’obiettivo è di awareness avrebbe più senso considerare un macro influencer, in quanto raggiunge un ampio bacino di utenti, interessati e non, che però verrebbero a conoscenza del nuovo prodotto. Se l’obiettivo è coinvolgere la community, renderla attiva e interessata, il micro influencer è il personaggio ideale per creare vicinanza: dà consigli e comunica con i suoi fan come se fosse un amico. Sono convinta che un appassionato vero, coinvolto nel modo giusto, porti a un risultato finale di maggiore impatto, lavorando meglio di un professionista che fa molte collaborazioni pagate.
E il futuro della professione Influencer? Non lo sappiamo (ancora), ma ciò che possiamo dire con certezza è che siamo in una fase di maturità del mercato: il numero sta crescendo sempre di più, insieme alle agenzie focalizzate sugli influencer. Un’epoca che probabilmente durerà ancora per molto, ma che raggiungerà necessariamente una fase di saturazione dove soltanto i contenuti veramente di qualità (o in linea con le aspettative di uno specifico target) potranno emergere.
Alla base di una campagna social che diventa virale c’è un forte insight, ovvero il punto di partenza che fa la differenza. Ecco 3 campagne che ce l’hanno fatta.
In una scenario ricco di contenuti, emergere è sempre più difficile per un brand. Ecco perché quello che può fare la differenza è sempre l’idea creativa.
Nel giugno del 2011 veniva lanciato Twitch, come piattaforma per il gaming e iniziava la sua ascesa verso la fama
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