

Intelligenza Emotiva e Social Awareness: allena il tuo mindset
Social Awareness: il quarto capitolo dedicato al tema dell’Intelligenza Emotiva. Come migliorarti in azienda allenando il tuo mindset.
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Dal voler fare un logo ad un logo fatto bene c’è di mezzo il “saperlo fare”. Nella puntata precedente abbiamo visto “Perché un buon logo è fondamentale per la tua impresa”, a questo punto abbiamo quindi una serie di nozioni condivise per poter parlare di “come si fa un logo” e possiamo vedere come è corretto procedere in un progetto.
Ipotizzando di dover comunicare qualsiasi cosa partendo da zero, è importante cominciare dalla Brand Identity, ovvero la totalità delle componenti distintive di una marca: ciò significa che dovremo riunire l’insieme di codici che, in coerenza con gli obiettivi strategici, hanno il compito di rendere univocamente riconoscibile chi comunica.
Questi codici, seppur con una propria autonomia, vanno pensati in modo complementare per costruire il codice visivo, ovvero sia visuale che testuale, che rappresentino in modo completo e formale il brand. A volte questo lavoro è più semplice quando si deve comunicare un unico concetto, in altre può diventare molto complicato come nel caso in cui i concetti siano molti e magari distanti tra loro. Quante volte abbiamo sentito parlare di “innovazione e tradizione” oppure “global ma a km zero”?
Dunque diventa importante suddividere il lavoro che ci aspetta in step, così da semplificare il lavoro in momenti che fanno da base agli step successivi. Iniziamo!
Si intende l’idea di base che stabilisce l’elemento valoriale su cui ruota l’identità visiva, ovvero quella sintesi di Vision e Mission aziendali che poi dovremo costantemente comunicare nel tempo. Indubbiamente è il momento più difficile, quello in cui bisogna fare tanta ricerca, collezionare e selezionare quello che pensiamo possa servire per includere tutte le possibilità che competeranno a determinare quella vincente. In questa fase la questione estetica non si pone perché non esiste ancora, ma è dove bisogna avere chiari gli attributi che verranno comunicati. La qualità, ad esempio, è un attributo tanto diffuso quanto difficile da sintetizzare. Da qui inizierà quell’opera di differenziazione dai competitor, il tono di voce e il posizionamento che caratterizzeranno il nostro Brand.
Facile intuire che si tratta del nome di un’impresa, di un prodotto o di un servizio, ed è tendenzialmente il primo degli elementi identificativi di un brand che, per natura e per legge, non potrebbe esistere senza il nome. Trovare il nome giusto non è solo un esercizio creativo ma contempla competenze linguistiche e legali. Pensiamo ad esempio al nome di un’auto, quel nome in un altro paese potrebbe avere un significato completamente diverso o, per ragioni linguistiche, essere letto in modo che significhi altro.
“Vigorsol, air action” è un esempio assolutamente non casuale che fa sempre sorridere chi ha un’ottima pronuncia inglese e che ci fa capire come, fatta una scelta, si ottiene la massima efficacia quando si rimane coerenti alla scelta fatta. L’obiettivo di un brand deve essere ambizioso fin dal nome creando una verbalizzazione che faccia scaturire emozioni e associazioni emblematiche.
Ci sono tre tipi di naming:
– patronimico: corrisponde al cognome di uno o più persone, ad esempio Walt Disney o Dolce & Gabbana;
– descrittivo: ha la priorità di spiegare o informare in modo esplicito la natura fisica del prodotto o della sua funzione, ad esempio Divani&Divani o Perlana;
– naming evocativo: sfrutta un nome di fantasia che trasmette foneticamente e/o emotivamente attributi del brand, ad esempio Yahoo! o Kodak;
Si tratta di una breve espressione testuale abbinata al marchio che ne completa l’identità verbale ed è importante per supportare il posizionamento della marca. Nel caso di un naming descrittivo è imperativo un payoff emozionale, viceversa, se il brand ha un nome evocativo è meglio spiegare di cosa si tratta nel payoff. Il payoff, a differenza del naming, può essere cambiato nel tempo, ma se ben concepito, diventerà una vera e propria estensione del nome.
Si intende una particolare composizione tipografica del nome, cioè la grafica con cui è composto il lettering definendo quella che possiamo definire come espressività testuale così da rendere il nome ancora più riconoscibile e memorabile. L’ideale è concepire un carattere tipografico apposito affinchè possa vantare una componente distintiva e differenziante.
Ogni epoca è stata caratterizzata da trend in tutte le arti e la comunicazione non fa di certo eccezione e l’avvento del digitale ha facilitato tanto la condivisione quanto il furto intellettuale. Il consiglio diventa abbastanza ovvio: farsi ispirare da tutto ma cercare di essere sempre originali, evitare di prendere e modificare loghi esistenti o comprati a poco sulle banche immagini perché il web è un mondo molto più grande di quello reale ma che sa diventare molto piccolo in certi ambiti e la comunicazione è uno di quelli.
Sono determinanti per veicolare l’identità e le emozioni che il brand vuole comunicare e saperli utilizzare, in virtù delle declinazioni sui diversi media è fondamentale per un’identità visiva corretta e coerente.
Indichiamo in questo modo l’immagine figurativa di un marchio, ad esempio la mela di Apple. I casi di successo trasformano il marchio in un’icona tanto da non rendere più indispensabili il nome della marca, vedi di nuovo Apple. Un simbolo può essere astratto o figurativo in base al tipo di rappresentazione visuale. Nel caso di Nike, quella che per alcuni è la stilizzazione dell’ala della Nike di Samotracia, per i più è lo “Swoosh” che non è il nome ma il soprannome del simbolo.
Il carattere impiegato per comporre il testo di ogni strumento di comunicazione di marca.
La sua importanza è spesso sottovalutata ma è altrettanto fondamentale perché permette una riconducibilità di brand maggiore migliorandone le performance di comunicazione.
Grazie per averci seguito anche in questa puntata: continuate a seguirci per leggere la prossima!
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